La Carbon Footprint è diventata l’ultima moda tra le aziende che cercano di apparire ecologicamente responsabili. Conosciuta anche come “impronta di carbonio” o “impronta climatica”, di per sé si propone essere un indicatore ambientale.
Essa misura la quantità di emissioni di gas serra generate da un prodotto, da un servizio, un’attività o un’organizzazione, la cui riduzione determina un miglioramento:
- dell’efficienza energetica
- delle risorse
- del risparmio economico
Tuttavia, dietro a questa tendenza si nascondono l’ennesima inutile burocrazia e l’ennesimo tentativo di inventarsi un nuovo modo per farsi pagare in un periodo di crisi. La pratica all’effettivo offre pochi benefici reali sia per l’ambiente che per l’azienda e i suoi dipendenti.
La Carbon Footprint è un’eco-burocrazia dannosa per le aziende
Le procedure richieste per ottenere la certificazione della Carbon Footprint sono complesse e costose, imponendo agli imprenditori un ulteriore onere burocratico. Innanzitutto, per calcolare l’impronta di carbonio è necessario raccogliere una vasta quantità di dati provenienti da diverse fonti. Pertanto, specie per le aziende più grandi con operazioni complesse, si configurano delle spese di tempo e denaro anche per:
- la raccolta dei dati
- la loro organizzazione
- la loro analisi
Certificazione Carbon Footprint: tempi lunghi e documentazioni infinite
I dati per ottenere la certificazione Carbon Footprint devono essere elaborati e presentati sotto forma di rapporti che, per le agenzie di certificazione, devono essere accurati, dettagliati e conformi agli standard richiesti.
Ciò richiede competenze specialistiche ed un eventuale impiego di personale aggiuntivo o l’assunzione di consulenti esterni.
Oltre a questo, spesso sono richiesti, per una corretta organizzazione, una revisione e un audit esterni per verificare l’accuratezza e l’affidabilità dei dati presentati dall’azienda. Il processo richiede altri esperti esterni che valutino la conformità dell’azienda agli standard di certificazione, e quindi altro tempo e documentazione.
La certificazione è un impegno continuo
La certificazione ottenuta non è un evento singolo, ma un impegno continuo: le aziende devono monitorare e registrare costantemente i propri dati ambientali per dimostrare il rispetto degli standard nel corso del tempo.
Quest’ultimo può richiedere la creazione di un sistema di monitoraggio interno e l’allocazione di risorse per la manutenzione e l’aggiornamento dei dati.
In sintesi, che si proceda con mezzi tradizionali o digitali, e quindi in termini di dispendio di cancelleria o di energia elettrica o di risorse informatiche (il che a sua volta significa consumare energia non rinnovabile e una maggiore emissione di CO2) all’attivo si sprecano risorse per certificare lo spreco di risorse: paradossale.
Carbon Footprint per immagine e marketing
Le aziende sono spinte a ottenere la certificazione Carbon Footprint principalmente per motivi di immagine verde e conseguentemente di marketing.
Essere in possesso di tale certificazione può fornire un vantaggio competitivo e migliorare la reputazione dell’azienda agli occhi dei consumatori che impazziscono tanto più un’azienda è green, senza interrogarsi sulla presenza effettiva di un impegno ambientale al di là dell’immagine.
Secondo noi di Kilton, questo è diventato solo un altro strumento per l’auto-promozione, senza alcun impatto tangibile o immediatamente confutabile.
Invece di investire tempo, denaro ed energia in una certificazione che produce risultati minimi, le aziende realmente interessate a ridurre la loro impronta ecologica dovrebbero farlo e basta, attivandosi concretamente.
Per costoro, la sostenibilità dovrebbe essere integrata nei processi aziendali quotidiani, piuttosto che affidarsi a un badge di certificazione.
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